Qualcosa su… o meglio “sotto” Ustica
“Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole.”
Giovanni Verga
Ed è proprio nel mare che Ustica trova la sua vita, la sua storia, le sue tradizioni…
Bella forza, è un’isola!
Conosciuta e ribattezzata “Paradiso dei sub” dal popolo con le pinne ai piedi, Ustica è ormai divenuta una tappa obbligata per gli amanti di questa disciplina. Sì disciplina, perché di questo si tratta, non di un semplice sport e come tale va affrontata. Non sono poi così rari gli incidenti dovuti ad inesperienza o spavalderia, per questo è necessario affidarsi sempre a professionisti locali quando ci si immerge. Ustica vanta un’apposita unità di soccorso con tanto di camera iperbarica e numerosi diving center tutti affidabili e preparati, capaci di offrire la massima sicurezza ad ogni “calata”.
Sono proprio loro, le guide e gli istruttori dei diving di Ustica che vi porteranno a vivere un’esperienza indimenticabile nelle profondità del suo mare incantato, accompagnandovi passo passo alla scoperta delle celate meraviglie dei suoi fondali.
Potrete esplorare alcune tra le più belle grotte sommerse d’Italia o andare alla ricerca degli emozionanti vortici di barracuda da poter fotografare in tutta sicurezza, quella sicurezza (non mi stancherò mai di ripeterlo) che solo dei professionisti qualificati e profondi conoscitori del luogo possono garantire.
Allora correte amici subacquei, come potete perdervi tutto questo?!?
Potreste trovare utili alcuni dei contatti presenti nella apposita sezione del sito.
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I° Negozio di frutta e verdura
Ecco la foto del primo negozio di frutta e verdura ad Ustica.
La curiosità è quella che vendeva anche le banane, frutta che nessuno ancora conosceva sull’isola (è passato ormai quasi mezzo secolo!).
Un grazie ancora a Mario per averci fornito queste testimonianze!
Se avete anche voi foto, sia moderne che storiche, mandatele.
Nello Rosselli ad Ustica durante il confino
Di seguito un articolo di Nello Rosselli, dal titolo Al confino, datato in calce
“L’ Apparità ( Firenze 1932 )”, che racconta in modo dettagliato la vita ad Ustica durante il confino degli anni venti.
Questa isoletta ha 900 abitanti stabili, e fluttuanti, distinti in coatti e confinati politici.
Il paese è miserabile, con casette che cadono a pezzi. ma una splendida veduta di mare, una chiesa con una santo miracoloso, e un monumento ai caduti.
Sulla facciata del municipio è una lapide, che nella prima parte ricorda come un isolano, ufficilae dell’esercito, fosse caduto da eroe nella guerra d’ Africa di cinquant’anni fa.
La seconda parte si legge cosi: ” E’ ora, Ustica, sparuta isoletta e quasi punto geografico sperduto nell’ Oceanco, ad eguagliare le grandi metropoli che mai ti manca? “.
Molte cose le mancano, di cui l’autore o non s’accorse, o preso dall’estro peotico si dimenticoco lì per lì.
Le cito come mi vengono: la luce elettrica, la fognatura, il lastrico per le strade, un pubblico macello, una farmacia, un ospedale, un servizio decente di lavori e via discorrendo.
Per le bestie da macello, ad esempio, andava così: quando a un contadino in Sicilia stava per morire per mancanza di fiato una vacca nelle stalle, egli pensava: vendiamola al macellaio di Ustica.
Detto fatto, la vacca arrivava in vapore, e siccome non c’era un pontile la calavano in acqua, ancorata ad una barca.
Giunta alla sponda più morta che viva, la portavano in piazza dive passava dodici ore legata ad una dei sei alberi dell’isola i quali sorgevanoi tutti, tre di qua e tre di là, davanti alla chiesa.
Se tirava le cuoia in quelle dodici ore, la mangiavano generalmente i coatti, che hanno pochi quattrini, e vanno a caccia di vitelli abortiti, agnelli a tre zampe, o anche, se capita, di bistecche strappate brutalmente dai lombi di una povera mucca che pascola incustodita.
Se no, aveva l’onore di pendere squartata in bottega, col listino dei prezzi sull’uscio, firmato dal podestà.
Invece di farmacia c’era un armadio farmaceutico in consegna a un coatto, il quale aveva fatto, in galera, l’infermiere.
Siccome la galera era durata un pezzetto, la pratica non gli mancava. Senonchè ogni sera alle diciotto questo coatto, che aveva in tasca la chiave dell’armadio, era ubriaco fradicio fino all’indomani mattina: proibito sentirsi male.
I vapori parevano signore che, quando, finita una visita, si alzano per andar via, non trovano mai la maniera di uscire.
Essi avrebbero dovuto secondo l’orario salpare da Palermo tre volte per settimana; ma se pioveva, tirava vento, o c’era all’orizzonte una nuvola nera, facevano trecento metri nel porto, poi tornavano a terra. I trecento metri, naturalmente, servivano per riscuotetre il contributo governativo.
A parte questi inconvenienti, e gli altri più o meno cospicui, inerenti alla pena e al confino, la vita ad Usdtica trascorreva tranquilla.
La popolazione ci guardava con occhio benevolo, tanto più che, di 900 che erano, uno non potevavantarsi di non aver nelle vene sangue d’antichi o recenti coatti.
Nell’ isola tirava vento: ond’è che con paterna cura la direzione della colonia aveva vietato a noi confinati di superare i limiti della borgata.
Perchè non prendessimo, poi, una frescata notturna, era stato deciso che alle sette di sera dovessimo essere tutti quanti rientrati.
I bagni di mare erano consentiti alle dieci e alle undici, nei giorni dispari: e perchè non corressimo pericolo di annegare barche con militi e carabinieri vigilavano nella piccola rada.
Insomma, le più grandi, le più commoventi attenzioni.
Perfino la posta veniva censurata in anticipo per evitarci impressioni spiacevoli; e il denaro che qualcuno di noi riceveva da casa veniva amministrato dal signor direttore.
” Cosa mi chiede altri soldi: non gli ho dato dieci lire ier l’altro?” ” Signor direttore, le ho spese: due lire d’olio ( frigga col lardo ! ), tre lire di carne ( non lo ho spese neanch’ io ! ), barbiere due lire ( si lasci crescere la barba ! ), francobolli una lira ( lei scrive troppo ! ), medicine una lire ( risparmi quei soldi ! ) “. Un vero corso di economia domestica.
Il direttore sospirava e tirava fuori due lire: ” Si ricordi, per otto giorni, nient’ altro”.
Tra i confinati c’erano anche degli arabi scampati alla forca: prigionieri di tribù ribelli. Verso sera andavano sugli scogli, in riva al mare, e lì col culo in aria, pregavano Maometto.
Stavano molto anche all’ufficio postale perchè spedivano telegrammi su telegrammi al Governatore della colonia promettendo fedeltà e invocando il relativo perdono.
Insomma il confino era una specie di ristretto d’ Italia , compreso l’oltremare.
Dalla infima gente ( i coatti ) su su per gradi salivi fino ai potenti: il prete , il podestà, il centurione della milizia. C’erano il massone, il pipista, il socialista e il fascista dissidente, il comunista ortodosso e l’anarchico individualista, il povero diavolo che aveva detto: ” PIove governo ladro “, e il pezzo grosso dell’opposizione.
Ciascuno teneva alla propria posizione e badava a serbare le distanze, ma alla fine quando pioveva ci si bagnava tutti e quando il vapore faceva cilecca s’aveva tutti il nervoso, che era poi, bella e buona, la nostalgia di casa.
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